Sant’Andrea

Altitudine: 330 m. s.l.m.
Beni culturali:
  • Chiesa di S. Andrea XI sec. (patrono: 30 novembre);
  • Castello della Carpirete X sec.;
  • Gargola, palazzo Spadaccini-Ferrarini XIX sec.;
  • Savognatica, portale quattrocentesco;
  • Vesallo, corte chiusa XVII sec, casa-torre XVII sec.
Escursioni naturalistiche: “ Sentiero Matilde”; “Sentiero Spallanzani”.
Principali manifestazioni: Colombaia, pesca sportiva sul fiume Secchia e gioco del ruzzolone; hiesa di S. Andrea, concerti; Castello delle Carpirete, visite guidate.
La fortuna turistica di questa frazione carpinetana, interessata dal sinuoso passaggio del fiume Secchia, che ne lambisce il versante meridionale, è legata certamente ad un fortunato colle, il monte Antognano (m. 805), che conserva tuttora l’ importante testimonianza di un orgoglioso passato: il castello medievale del X sec., che sorge imponente su un’alta rupe rocciosa, un tempo al centro del potente sistema difensivo dei Canossa,
Il castello delle Carpirete, detto anche di S. Pietro, presenta un’ampia pianta con alte mura che proteggono la torre del mastio ed altre strutture valorizzate da recenti interventi di scavo e restauro. Perimetra la cortina muraria un comodo sentiero delimitato dai boschi, che consente di ammirare ulteriori particolari costruttivi.*
Ai piedi del castello sorge la chiesa medievale di S. Andrea (XI sec.), che presenta, grazie ad un accurato restauro, le sue originali linee strutturali.** La sommità della cresta rocciosa è un luogo privilegiato e ideale di osservazione ed analisi del magnifico paesaggio circostante, di cui non sfuggiranno particolari, colori, forme ed atmosfere.
Sovrastato dall’antica rocca dei Canossa è il nucleo di Savognatica, particolarmente interessante per le sue antiche strutture, tra le quali emerge, su una piazzetta, una bella maestà a pilastrino. Scendendo nel borgo, a destra, si incontra un ampio voltone che conduce ad una corte chiusa con edificio settecentesco; l’elegante portale presenta due infissi lignei intagliati e in chiave una finestrella quadrilobata.
Sul lato destro della corte non sfugge all’attenzione un pregevole portale in arenaria con mensole modanate a scaletta, decorato nell’architrave da un fregio gigliato, dalla croce latina e datato “1464”.
Altri portali e finestrelle del Quattro-Cinquecento si possono scorgere nelle abitazioni adiacenti. Poco distante da Savognatica, in direzione nord, si incontra la località di Gargola con l’elegante palazzo Spadaccini-Ferrarini, edificato nella seconda metà dell’ ‘800; lo affianca un oratorio dedicato alla natività di Maria Vergine, indicato in antichi documenti già dal ‘700.
Altre testimonianze di un passato ricco d’arte e di storia si possono ammirare nell’abitato di Vesallo, caratterizzato da due complessi rispettivamente con casa-torre e corte.
Il primo nucleo (XVII sec.) comprende una torre sviluppata su quattro livelli conclusa a colombaia e coperta a due spioventi; l’affianca una costruzione con portale in arenaria di forma esagonale, decorato in chiave con lo stemma dell’antica famiglia Beretti: al suo interno, con una semi-tamponatura, è stata ricavata una finestrella. Sulla stessa facciata si apre una nicchia votiva settecentesca di notevole pregio artistico, in quanto minuziosamente scalpellata.
L’edificio retrostante è dotato di un portale settecentesco con arco a tutto sesto e bugne di arenaria.
A breve distanza troviamo una corte ad impianto chiuso con accesso protetto da un interessante loggiato a tre luci architravate, sostenute da collanine parallelepipede in arenaria.
La corte è caratterizzata da rustici di servizio con porticati scanditi da imponenti archi a tutto sesto.
Troveremo altre emergenze significative nel nucleo rurale di Coliolla, tra le pendici digradanti sulla sinistra del fiume Secchia, dove nel massiccio palazzo signorile del XVII sec. si possono ammirare un portale a tutto sesto scolpito a bugnato e una raffinata finestrella barocca con decorazione a volute.
Poco discosto è l’oratorio settecentesco dedicato alla Natività della Beata Maria Vergine, con parametro in arenaria e pietre ben rifinite nei ricorsi alterni angolari.
Tra le attrattive originali e divertenti di questa località, ricordiamo il gioco popolare del ruzzolone, che si tiene nel tempo libero in località Colombaia sul Secchia. Lungo la riva sinistra del fiume, un simpatico gruppo di venti persone, con tanto di presidente, si cimenta da 26 anni con amici di altre province e regioni in gare appassionanti sulle quattro piste parallele, lunghe ciascuna 500 metri. Le gare iniziano a marzo e si concludono a luglio con i campionati provinciali, in preparazione dei campionati nazionali che si svolgono in agosto.
Il ruzzolone, già praticato prima del 1500 nell’ Appennino tosco-emiliano, consisteva un tempo nel far ruzzolare su un percorso rettilineo piccole forme di Parmigiano-Reggiano o di pecorino del peso di circa 4-5 kg., solitamente nei giorni festivi, dopo le funzioni vespertine. Oggi il formaggio è stato sostituito dal ruzzolone, una ruota alta 5.5 cm. con diametro di 25 cm. e peso minimo di 2 kg., in legno di acero, noce o legni vari incollati insieme a strati. I tornei, della durata di 4-6 ore, si possono affrontare singolarmente, a coppie o a squadre di quattro persone che si alternano nel lancio. Un buon tiro arriva fino a 100-120 metri e vince il torneo chi raggiunge il traguardo con il minor numero di lanci. I campi da gioco, i treppi, sono delimitati da aste di legno o alberi detti biffi. Se un giocatore “sbiffa”, manda cioè il ruzzolone al di fuori del campo deve, con tiri più corti e mirati, rientrare nel terreno di gioco. Per facilitare il lancio, il ruzzolone è avvolto da una fettuccia di canapa lunga circa due metri, terminante con una maniglia da fissare al polso; alla corda è annodato inoltre il “farnello”, un rocchetto di legno che favorisce l’impugnatura e una maggiore potenza del tiro.
Il gioco diverte ed entusiasma i concorrenti, ma anche i numerosissimi amici e spettatori che fanno loro corona. Per tutti l’accogliente pro-loco di Colombaia ha sistemato una piccola struttura di ristoro accanto alle piste, dove si preparano prodotti locali ed avvengono le premiazioni dei vincitori.
Questo gioco popolare, infatti, è riconosciuto dal CONI ed ha in tutta Italia 3500 iscritti: è tuttavia la provincia modenese a vantare il maggior numero di giocatori (1400) poiché in quelle terre, in tempi lontani, hanno avuto origine i primi divertenti lanci di ruzzoloni.
Chi ama invece la pesca può scegliere sul largo bacino del fiume il luogo più adatto dove aspettare pazientemente trote, cavedani, carpe, che abbondano nelle frettolose acque provenienti dall’Alto Appennino. Questi luoghi sul fiume esercitano da sempre un fascino particolare per la loro bellezza tranquilla, il clima mitigato dalla bassa quota e la storia avvincente; non va dimenticato come in epoche remote queste terre fossero segnate da un’ importante via di transito che si collegava alla Toscana attraverso il Passo delle Radici. L’antico percorso, denominato oggi “Sentiero Matilde”, è stato valorizzato in più punti con un’apposita segnaletica verticale che consente esplorazioni avvincenti fino a S. Pietro e il castello delle carpirete Gli appassionati escursionisti potranno così raggiungere dal fiume la vetta panoramica del monte Antognano, addentrarsi nel versante boscoso sopra Carpineti e proseguire nella valle del Tresinaro, punteggiata da antichi borghi affacciati su strade e carraie facilmente percorribili a cavallo ed abbordabili dagli amanti delle due ruote
*Il castello delle Carpinete:
Il castello, detto anche di S. Pietro, sorge sul monte Antognano (m. 805), un aspro sperone roccioso che domina le vallate del Secchia e del Tresinaro tra boschi di querce, carpini e castagni. Ai piedi delle mura, se favoriti dal sereno, potremo ammirare un panorama eccezionale: gruppi di case contornate dal verde, calanchi e cave d’argilla e, sullo sfondo, la cresta appenninica che si snoda da est con la punta del monte Cimone, cui si sovrappone, sinuosa, la catena del monte Cusna fino al tozzo monte Prampa.
Questo complesso fortificato fu costruito con ogni probabilità da Atto Adalberto, l’intraprendente avo di Matilde di Canossa, intorno al 960 – 980. Per la sua posizione geografica poteva considerarsi al centro del patrimonio canossano e per la sua collocazione strapiombante ed elevata, risultava imprendibile e strategico.
Presentava infatti doppia cinta di mura e, al centro, il mastio, la torre ancora esistente, per l’ultima difesa in attesa di rinforzi.
Il castello, abitato saltuariamente da Bonifacio di Canossa padre di Matilde, venne ceduto al monastero di Frassinoro e di nuovo riacquistato sapientemente dalla contessa che ne fece, nel sec. XI, la sua residenza preferita ed un centro politico, militare, giuridico di notevole importanza.
Qui furono accolti illustri ospiti come papa Gregorio VII che, da marzo a giugno dell’anno 1077, vi diresse la Chiesa stilando importanti documenti. Fu così che Carpineti, seppur per poco, divenne la “capitale” della cristianità. Tra le mura di questa rocca soggiornarono inoltre S. Anselmo da Lucca, direttore spirituale di Mantova, il re Astolfo e i pontefici Urbano II e Pasquale II.
Nel 1092 Matilde qui convocò il Convegno di Carpineti, alla presenza di prelati, nobili e abati, per decidere se proseguire la lotta contro l’invadente imperatore di Germania Enrico IV. Decisivo fu l’intervento dell’eremita Giovanni da Marola che incoraggiò e convinse l’assemblea a continuare a combattere contro Enrico senza esitazioni, ed ebbe ragione, poiché la vittoria sulle truppe imperiali fu schiacciante e definitiva.
Alla morte di Matilde avvenuta nel 1115, il castello passò a vari vassalli come i Fontanelli e, in una breve parentesi durata dal 1512 al 1523, al famoso carpinetano Domenico Amorotti con pieni potere sul contado. Alla morte di quest’ultimo ressero il feudo dal castello i Molza, i Giannini e i Valdrighi fino al 1796.
Le antiche mura del complesso fortificato, tanto accoglienti in passato, iniziarono dal ‘700 a mostrarsi meno ospitali e nel secolo successivo dovettero essere definitivamente abbandonate, a causa degli innumerevoli cedimenti strutturali.
Nel luglio 1944 le rovine si moltiplicarono, poiché i tedeschi centrarono il castello con forti colpi di artiglieria, nella convinzione che vi fossero nascosti partigiani.
Il Castello delle Carpinete rimase in un grave stato di abbandono sino al 1978 quando la Provincia di Reggio Emilia lo acquistò avviando urgenti interventi, con l’obbiettivo primario di conservare e consolidare il mastio.
Le opere furono realizzate di concerto con la Sovrintendenza ai Beni Culturali e Ambientali dell’Emilia e con le Sovrintendenze ai Monumenti e all’Archeologia di Bologna, senza prescindere dallo studio e dalla sorveglianza qualificata di abili professionisti.
Un secondo intervento, negli anni ’90, si occupò di rimuovere alberi e cespugli cresciuti nel tempo, asportando il terriccio e le pietre di ogni misura che sommergevano tutta la base del camminamento.
Man mano che i lavori procedevano, affioravano pregevoli strutture e interessanti materiali archeologici.
Il castello-recinto presenta mura con feritoie e pianta irregolare riconducibile ad un trapezio.
Come appare in grafici quattrocenteschi, le mura e le torri erano merlate alla maniera ghibellina filo-imperiale ( a due punte), ma è probabile che in epoca matilidica fossero a forma squadrata quale segno distintivo della fazione guelfa filo-papale: in merito, tuttavia, non sono pervenute testimonianze probanti.
Aggirata la cerchia muraria si accede a sud, da un ampio portale, nel rivellino, un avamposto semicircolare che presidiava l’ingresso e comprendeva, in alto, una prigione.
Percorsi pochi gradini, si giunge nel primo cortile dove si innalza imponente il mastio a base quadrata; l’alta torre ha un parametro in arenaria, poche strette finestre e, sul lato sud, l’ingresso.
Nell’interno è stato ricavato il belvedere che spazia sull’ampio scenario panoramico. Ad ovest della torre, ci sono il pozzo e la cisterna per la raccolta dell’acqua e, lì accanto, tracce di una piccolina fucina.
Sul lato est, tra i due cortili, appaiono la sagrestia e la base pavimentata dell’oratorio dell’ Annunciazione di Maria Santissima. L’oratorio presenta due pavimentazioni: la prima, in cotto, è cinque-secentesca; l’altra, probabilmente di epoca alto-medievale, è in pietra arenaria; nella zona prospiciente l’altare è situata una curiosa pietra circolare detta “rota”.
A nord rimangono diverse strutture appartenute al “Palacium”, la residenza del signore; la cerchia termina con un rivellino e un’uscita che conduce a valle. Nel complesso si notano tracce di alloggi della corte, dei soldati, sotterranei, magazzini, granai, scale, corridoi e scuderie.
All’esterno, a sud del castello, si trova un piccolo cimitero, mentre nella zona sottostante si profila una casa con metato.
A est si innalzano la chiesa di S. Andrea e, più a valle, una canonica, trasformata nel 1975 in ristorante.
**La chiesa di S. Andrea:
Questa piccola chiesa in arenaria fu sicuramente voluta dalla contessa Matilde di Canossa e venne consacrata nel 1077. Nel tempo ha subito vari restauri: l’ultimo nel 1994 ne ha reso possibile la riconsacrazione, restituendo ai fedeli il piacere di osservarla nelle strutture e nei decori di un tempo.
La pianta ad aula, con abside rettangolare, è completata da una copertura a capanna. Caratterizzano la facciata il portale architravato, la lunetta con intreccio romanico e i due capitelli ormai illeggibili per lo sfaldarsi dell’arenaria. Il portale è sormontato da una finestra quadrilobata e reca sul fianco sinistro una pietra con un piccolo nodo intrecciato molto sciupato dalle intemperie.
Sul fianco settentrionale si eleva il bel campanile con cella a monofore riquadrate e finestrelle qudrilobate.
Nell’interno, sul lato sinistro, si trova il fonte battesimale inserito in una nicchia angolare. Sulla parete contigua, in alto, è ben visibile una pietra rettangolare suddivisa in due parti distinte: a partire da sinistra si nota in rilievo il cane levriero dello stemma dei Canossa affiancato da un intreccio di stile causino. Di notevole importanza è la preziosa mensa d’altare, una pesante lastra di arenaria (160 x 78) sostenuta da un supporto metallico, recuperata dalla pieve di S. Vitale e datata 28 agosto 1145, giorno di riconsacrazione della pieve stessa.
Sul piano della mensa troviamo cinque piccole nicchie disposte a croce che conservavano preziose reliquie, solo in parte salvate da passati trafugamenti. Lastrine plumbee accompagnano e definiscono il contenuto di due vasetti vitrei con reliquie di S. Vitale e del Legno della Croce di Cristo ora conservati nella Curia di Reggio Emilia.

Nelle giornate del 30 novembre, festa di S. Andrea, e del 25 marzo, ricorrenza dell’Annunciazione di Maria Santissima, vi si tengono importanti funzioni, anticipate dal suono a distesa delle campane.

da “Conoscere Carpineti” di Diva Valli e Stefania Beretti