Scarpazzone in forma

 

La manifestazione “Lo scarpazzone in forma”, organizzata dall’Associazione “Carpineti da Viviere”, si tiene ogni anno a Carpiteti intorno alla metà del mese di luglio.

L’iniziativa si sviluppa attraverso mercatini artigianali, artistici, intrattenimento musicale, esposizioni, animazioni per bambini, stand gastronomici a base di prodotti tipici locali come gnocco fritto, i casagai, la chizza del brigante e naturalmente lo scarpazzone montanaro con il riso.
Per informazioni
e-mail: francysca2000@libero.it – contatto telefonico: 335 6655624
sito di riferimento: www.carpinetidavivere.it


NELLE VALLI DELLO SCARPASUN
L’erbazzone reggiano in montagna si diversifica da quello “cittadino” e diviene scarpasun nel dialetto del luogo. Oltre alle buone erbe, bietole e a volte spinaci, al Parmigiano Reggiano e alla ricotta, il riso (assente nella versione di pianura) è la peculiarità di questo prodotto. Il riso conferisce al palato note aromatiche delicate, un sapore più dolce e una struttura dell’impasto che risulta morbida e gradevole alla masticazione. Una persistente tradizione casereccia ne identifica la zona tipica di produzione soprattutto intorno al Monte Fosola, nel Felinese, nel Carpinetano e nel Casinese, ma anche in altre zone dell’Appennino.
Il riso arriva qui come frutto della storia della gente di montagna. L’Emilia, infatti, dell’inizio del Novecento agli anni sessanta, è in prima fila a rimpinguare ,l’esercito, tutto al femminile, delle mondine chiamate, da marzo a ottobre, a liberare le risaie dalle erbe infestanti – la faticosa monda a mano con la schiena piegata – e a mietere a fine stagione.
Le donne sono forti, instancabili e hanno, purtroppo, la qualità di poter essere meno pagate degli uomini. Per consuetudine avevano diritto a riportare a casa un chilo di riso per ogni giorno di lavoro, un prodotto tipico della pianura che così diviene familiare anche in montagna. Nelle loro cucine, le mondine inseriscono così trionfalmente il riso nel prodotto da forno montanaro per eccellenza, “e scarpasun”.
 
QUANDO SI CUOCEVA NEL SOL
Si chiama scarpasun, perché nella sua preparazione, le umili famiglie contadine erano solite impiegare anche il fusto bianco, cioè la scarpa, della bietole. Lo scarpazzone, pertanto, si produceva quando c’era disponibilità di bietole, da fine giugno ai Santi.
Il sol è lo stampo tradizionale per la cottura nel forno a legna dello scarpazzone. Rotondo, in rame con tre piedi e manico in metallo, è incernierato in centro, pertanto girevole per intervenire sulla cottura in base alle diverse temperature delle diverse zone del forno a legna.
Di varie dimensioni, può superare i 60 centimetri di diametro.
Quando si costruiva un forno nuovo di dimensionava la “bocca” del forno proprio a quello del sol di casa

Nel sol è possibile anche cuocere la torta di riso e quella di castagne. Così come ancora avviene nelle caldaie dove si fa il Parmigiano Reggiano, il rame del sol è capace di garantire un’elevata e uniforme distribuzione del calore al prodotto da cuocere. Questo fa si che lo scarpazzone qui prodotto abbia un gusto particolare. Alcuni di questi sol giacciono nascosti in soffitte o armadi della montagna, ma molti sono orgogliosamente esibiti nelle cucine. Talvolta si trovano ai mercatini dell’antiquariato, rari, preziosi e a volte finemente punzonati con una rosa celtica emblema dell’Appennino.

LO SCARPAZZONE DI CARPINETI
di Emilio Rentocchini
Ricordo di avere mangiato il primo erbazzone all’età di 16-17 anni, naturalmente a Reggio, agli inizi della mia carriera di tifoso granata: prima di allora non l’avevo mai neppure sentito nominare. A Sassuolo non lo si conosceva se non si era di famiglia reggiana. Lo dico subito, non mi piacque: amavo soprattutto i dolci e quel misto di gnocco salato e verdura mi fece un effetto antipatico. Dirò di più, cominciai a pensare ai Reggiani come gente strana. Credo di avere ripreso a mangiarlo, apprezzandolo moderatamente, non più di dieci anni fa. Dello scarpazzone, invece, conosco solo cose che mi sono state riferite: soprattutto da Franchino Genitori, originario di Cola. So, per esempio, che a differenza dell’erbazzone, lo scarpazzone montanaro contiene riso, poiché le donne che dai loro borghi appenninici si recavano a fare le mondine, tornavano alla fine della “stagione” anche con un compenso in riso; ricordo di aver sentito dire che il nome scarpazzone deriverebbe dal fatto che per prepararlo, a Carpineti e dintorni, si utilizzavano e si utilizzano erbe più povere che in pianura, fino ad usare la “costa” della bietola, cioè la parte più dura, chiamata anche “scarpa”. Sono sicuro che uno di questi giorni avrò anche la ventura di assaggiarlo, ma a questo punto non è che mi interessi particolarmente; ne ho sentito talmente parlare, e in maniera così colorita, anzi, direi “saporosa”, da tutti coloro che provengono dalle terre matildiche, che è come se ne avessi fatto una bella scorpacciata.
Ma nello stesso tempo, proprio per non averlo mai messo sotto i denti e digerito, mi lascia la libertà di fantasticarne la consistenza, la durata del gusto tra palato e lingua, l’impasto di aromi che l’antica tradizione ha certamente imprigionato nel corpo dello scarpazzone, la persistenza a volte – probabilmente – non del tutto tranquilla nelle prime vie digestive, la quantità di “pezzi” occorrenti per giungere a sazietà, la pace dei sensi dopo una sbaraccata in compagnia a base di tale prelibatezza…
Queste non sono domande, o meglio, sono domande con risposte inventate o inventabili dalla mia fantasiosa disposizione mentale. C’è però una grande questione aperta nella mia testa circa lo scarpazzone. Mi vergogno un po’ a confidarla, anche perché sto scrivendo sull’argomento. Va bene, ecco qua: ma lo scarpazzone che forma ha? Sabato prendo la macchina e vado a Carpineti.
LA RICETTA DELL’ERBAZZONE CON RISO
(ricetta per un sol di 60 cm)
Ingredienti per il ripieno: 3 Kg bietole fresche, 500 g ricotta, 300 g lardo, 300 g Parmigiano Reggiano grattato, 100 g formaggio pecorino grattato, 500 g riso cotto per 10 m,in. In 2 litri di latte, 8 uova, 50 g prezzemolo, 4 spicchi aglio, noce moscata, sale.
Si mettono in padella aglio, prezzemolo e lardo; quando quest’ultimo si è sciolto si aggiungono le bietole precedentemente scottate in acqua bollente e successivamente tritate sul tagliere con la mezza luna, il tutto per una cottura di 15 minuti. Si prepara l’impasto prelevando le bietole dalla padella ed aggiungendo riso, ricotta, Parmigiano Reggiano, e pecorino grattati, uova, noce moscata e sale. Per la sfoglia detta “fuiàda”, si utilizzano 500 g di farina, 150 g di latte, olio e sale. Con la pasta tirata sottile vengono rivestiti il fondo ed i bordi del sol, successivamente viene messo uno strato omogeneo di 1.5 cm di impasto. Utilizzando un uovo intero sbattuto si realizza una pellicola superficiale sull’impasto steso e successivamente si mette nel forno a legna preventivamente scaldato per circa 30 minuti.