Verso il Medioevo

La calata degli Ungari alla fine del IX secolo costituì un vero flagello per la penisola Italiana, e altrettanto fu per le popolazioni reggiane. E’ forse in seguito a quest’evento che molte persone si rifugiarono sull’Appennino e diedero inizio alla costruzione di vere e proprie fortificazioni a scopo difensivo. A questo periodo è fatta risalire l’edificazione della prima cinta muraria di quello che, per mano di Atto Adalberto, sarebbe in seguito divenuto il Castello di Carpineti. Alla costruzione della fortificazione fece seguito la nascita di una vera e propria località, chiamata Carpineti con riferimento ai numerosi boschi di Carpino nero della zona, che in capo a due secoli sarebbe divenuta parte dei territori fulcro della vita politica e religiosa Europea: le terre della Contessa Matilde di Canossa.

Il medioevo

L’epoca medioevale vissuta nell’Appennino reggiano riletta attraverso le testimonianze dei cronisti e dei cantori di allora evoca luoghi e vicende leggendarie. Gino Badini e Aurelia Fresta scrivono nel loro libro dedicato alla collina reggiana: “L’età di mezzo vissuta dalla collina reggiana ritorna a noi soprattutto grazie ai documenti e alle cronache del tempo che, tramandando insieme vicende di uomini e di pietre, ci fanno ritrovare nei luoghi del passato ed incontrare l’umanità di allora: barbari e soldati, chierici e mercanti, mendicanti e nobili, osti e banditi. […] Luoghi di battaglia, umili case, superbi castelli, silenziosi monasteri: dalle antiche carte escono notizie e curiosità varie, vicende e personaggi della grande storia e della piccola cronaca, nel clima del medioevo, tra rocche turrite e spade sguainate, tra assassinii accidentali e su commissione, tra foschi destini, colpe e paure, a narrarci la storia della nostra collina”.

Il medioevo di Matilde di Canossa

Attorno alla fine del secolo X le terre della Lombardia e dell’Emilia erano in mano al conte d’origine longobarda Sigfredo da Lucca, che alla morte le lasciò in eredità al figlio Atto Adalberto, al quale si fa risalire la costruzione del Castello di Carpineti (o Castello delle Carpinete), avvenuta probabilmente nella seconda metà del secolo X. Ad Atto Adalberto succede nel 988 il figlio Tedaldo, che compie un’opera d’ulteriore espansione del potere della dinastia, continuata anche dal figlio Bonifacio, marchese di Toscana e conte di Canossa. Da Bonifacio e dalla moglie Beatrice di Lorena nasce a Mantova, nel 1046, Matilde di Canossa. L’infanzia di Matilde trascorse tranquilla, fino all’età di sette anni, quando il padre fu assassinato durante una battuta di caccia. Beatrice si trovò ad affrontare una difficile situazione quale madre di tre figli, nonché responsabile di un potere politico e territoriale molto difficile da gestire. Ella era bisognosa d’aiuto e decise per questo di avviare un rapporto di reciproco sostegno con il pontefice Leone IX, suo zio, al quale promise la restituzione di beni che dal marito erano stati sottratti alla chiesa, unitamente a interventi a favore di canoniche e monasteri, in cambio di appoggio politico. Il rapporto che Beatrice instaurò con il pontefice sarà decisivo per gli eventi successivi, influenzerà profondamente la vita di Matilde, la quale manterrà uno stretto rapporto anche con i pontefici successori.
Gli anni della giovinezza per Matilde proseguirono difficili, i due fratelli morirono in giovane età e la madre decise di contrarre un secondo matrimonio poiché se prima della morte dell’unico figlio maschio la successione era assicurata, ora Beatrice era sconfortata e non se la sentiva più di governare da sola un territorio tanto vasto: occorreva trovare una soluzione che desse sicurezza a lei e all’unica figlia rimasta, Matilde, alla quale si stava attaccando sempre di più, unico bene sul quale riversare il proprio amore materno. Beatrice sposò nel 1054 il parente lorenese duca Goffredo, detto il Barbuto, dietro di una certa diffidenza sia da parte del Papa che dell’imperatore Enrico III, riunendo così sotto un’unica bandiera i poteri di entrambi. Goffredo e Beatrice concordarono anche il matrimonio fra il figlio di prime nozze di Goffredo il barbuto, chiamato Goffredo il Gobbo, con la giovane Matilde, garantendo in questo modo la successione al nuovo potere che con la loro unione andava a formarsi. Il matrimonio fra Matilde e Goffredo il Gobbo fu celebrato poco prima della morte di Goffredo il Barbuto, che avvenne nel 1069, l’anno successivo Matilde restò incinta offrendo la possibilità di garantire un erede al marito. La figlia di Matilde però, morì appena nata, gettando nello sconforto e nel dolore la madre, già in precarie condizioni di salute per il parto difficoltoso. Ella doveva ora sopportare la consapevolezza di avere fallito nel compito principale di una moglie nel Medioevo: garantire la continuazione della stirpe. Nel 1076 Goffredo fu assassinato, e nell’aprile dello stesso anno anche Beatrice, l’amatissima madre, morì. Matilde diventava responsabile di un governo vastissimo, esteso fra più nazioni, in una situazione politica e religiosa delicata, nel periodo della lotta per le investiture fra papa Gregorio VII, al quale Matilde era legata spiritualmente e affettivamente (nonché dalla necessità di un reciproco sostegno), e l’imperatore Enrico IV, suo parente, al quale doveva gli obblighi del sistema vassallatico-beneficiario. Seguirono anni d’aspre lotte fra il pontefice e l’imperatore, durante i quali Matilde di Canossa restò fedelmente schierata dalla parte del papa. Nel 1076 Enrico IV fa dichiarare deposto Gregorio VII, e questi per tutta risposta, lo fulmina scomunicandolo e sciogliendo i suoi sudditi dall’obbligo di fedeltà. Il colpo per Enrico è durissimo, nell’inverno fra il 1076 e il 1077, ricordato come uno dei più freddi del secolo, egli non godeva più di un solido appoggio in Germania a causa della scomunica che lo aveva posto in cattiva luce, e i duchi tedeschi minacciavano di deporlo. Enrico IV decide quindi di scendere in Italia, raccogliere i vescovi suoi fedeli e accompagnato dal proprio esercito rilanciare la lotta, recandosi da Gregorio VII per esigere la revoca delle scomuniche. Il Papa, a Mantova in quel periodo, si rifugia nella rocca di Canossa, ospite di Matilde, ben difeso e protetto dalla rete di castelli e fortificazioni disseminati nella zona, ma a questo punto, in seguito ad un colloquio con Matilde tenutosi a Quattro Castella, Enrico IV decide di implorare il perdono al Papa e chiedere la revoca della scomunica che aveva, di fatto, delegittimato il suo potere agli occhi dei signori di Germania. Enrico IV si rendeva conto che il mezzo meno indolore e rapido per ottenere la reintegrazione del proprio potere, era quello di recarsi penitente al cospetto del Papa. Egli come sacerdote non avrebbe potuto sottrarsi dal concedergli il perdono ed, in definitiva, la reintegrazione delle sue funzioni di sovrano. In questo modo Enrico avrebbe evitato un imbarazzante scontro diretto. Il 25 Gennaio 1077, il potentissimo imperatore Enrico IV era Canossa, alle porte del castello di Matilde, vestito di un saio e scalzo nella neve ad implorare il perdono di papa Gregorio VII. Dopo tre giorni d’attesa, attraverso la mediazione di Matilde di Canossa, Enrico IV viene ricevuto dal papa che gli concede il perdono e la revoca della scomunica. Secondo un cronista dell’epoca il pentimento di Enrico apparve però subito fittizio, anche se del resto il papa non poté comportarsi diversamente; l’epica e la storiografia, che hanno prevalso nel corso dei secoli, hanno invece donato un significato più puro a questo sleale calcolo politico: oggi recarsi a Canossa è simbolo di pentimento, ravvedimento e richiesta di perdono. Dopo solo quindici giorni dall’episodio di Canossa la strategia di Enrico IV si rivelò in tutta la sua disarmante aggressività: egli riprese la lotta contro il papa in maniera ancor più aspra, minacciandolo con il suo esercito e costringendolo a rifugiarsi presso i Normanni di Roberto il Guiscardo dopo un lungo assedio a Roma. La nuova guerra coinvolse pesantemente anche Matilde, che continuando a difendere strenuamente le ragioni Gregoriane, attirò contro di sé le ire dell’imperatore che a Lucca, nel luglio del 1081 la proclamò rea di lesa maestà, e la fece immediatamente decadere da tutte le funzioni pubbliche. Matilde nel frattempo si era rifugiata nei suoi maestosi e ben difesi castelli appenninici, di cui quello di Carpineti era il prediletto, circondata dai suoi fedeli. Seguirono tempi difficili per la contessa, ella si trovava costretta nei suoi castelli, impossibilitata ad incontrare il papa che sosteneva, privata delle terre che le appartenevano e sulle quali ora dominava Enrico IV con i suoi eserciti. A Salerno, nel 1085, Gregorio VII morì. Dopo il breve pontificato di Vittore III gli successe Urbano II. In seguito ad una nuova calata di Enrico dalla Germania, Matilde forse consigliata proprio dal nuovo papa, prende la delicata decisione di contrarre un secondo matrimonio e rilanciare la lotta: il prescelto fu Guelfo, appartenente alla stirpe dei duchi di Baviera, avversari di Enrico IV. Matilde decise in questo modo di non mettersi da parte, ma di riunire sotto un’unica bandiera i nemici dell’imperatore per continuare la lotta a sostegno della causa pontificia. Il matrimonio, anomalo poiché una donna quarantatreenne si trovava a sposare un ragazzino poco più che maggiorenne, scatenò le ire dell’imperatore. La reazione di Enrico IV fu violenta, egli fronteggiò i fedeli di Matilde in più riprese. Nel Settembre del 1092 Matilde convocò il “Convegno di Carpineti” per discutere la grave situazione assieme a vescovi, abati, nobili e consiglieri. Nel convegno, al quale partecipò anche l’eremita Giovanni da Marola, Matilde trovò appoggio ed incoraggiamento a combattere l’imperatore nonostante ella soffrisse diverse ribellioni in città e campagne dove le popolazioni passavano dalla parte dell’imperatore. L’esercito Matildico, ben equipaggiato ed organizzato, riuscì a sconfiggere l’esercito imperiale e a costringere l’imperatore alla ritirata, mentre nuovi conflitti nascevano all’interno della famiglia dell’imperatore. Proprio i figli di Enrico IV, Corrado e Enrico V, gli si ribellarono e quest’ultimo, dopo la morte del fratello, fece arrestare e rinchiudere il padre mettendosi a capo dell’impero. Enrico V fece annullare il bando imperiale di Lucca che aveva delegittimato il potere di Matilde di cui egli riconosceva la parentela e in cui vedeva una madre ideale, e nel 1111 proclamò Matilde di Canossa viceregina di tutto il nord dell’Italia, una riabilitazione trionfale, che le permise di governare ancora con sapienza le sue terre fino alla morte, avvenuta il 24 luglio 1115, all’età di 69 anni. Matilde non aveva eredi, nonostante il desiderio di lasciare i suoi possedimenti alla chiesa, Enrico V li incamerò, rivendicandoli come parente più stretto di una dinastia tanto gloriosa che con Matilde scompariva dopo aver resistito nel turbine della lotta per le investiture.
Con la morte di Matilde si concludeva un periodo storico importantissimo per Carpineti e per l’Europa intera, ora impegnata in una nuova profonda trasformazione politica e sociale. Matilde fu sepolta nell’abbazia di S.Benedetto al Polirone, nel mantovano (oggi chiamato S.Benedetto Po), ma nel 1635 la sua salma fu fatta trasferire dal Papa nella Basilica di S.Pietro in Vaticano, all’interno di un imponente monumento funebre opera del Bernini.

Il bandito Domenico Amorotti

I secoli trascorsero relativamente tranquilli per Carpineti, prima governata dai feudatari del posto, poi attraverso i liberi comuni e le leggi statutarie, fino agli inizi dei ’500, quando nuovi fatti legati ad un Carpinetano, Domenico Amorotti detto “l’Amorotto”, scuoterono la tranquillità della montagna reggiana. L’Amorotto fu un personaggio certamente controverso: uomo fortemente individualista e amante del potere possedeva notevole astuzia, cultura, coraggio e modi cavallereschi. Incline alla violenza e d’animo ribelle si trovò spesso in conflitto con i partigiani del duca e con il governatore pontificio di Reggio, Francesco Guicciardini. Nel 1519 era calato su Reggio, scontrandosi con le misure difensive della città, ed era per questo stato accusato di ribellione e una sostanziosa taglia era stata posta sulla sua testa. Nel 1520 tornò a rifugiarsi sulle montagne, affiancato dal feroce fratello Vitale e alcuni seguaci, dedicandosi a frequenti atti di brigantaggio: arroccati nei pressi di Civago gli uomini dell’Amorotto terrorizzavano le genti delle vallate con frequenti scorribande, furti, vendette ed assassinii, anche se non sempre l’Amorotto era a conoscenza di ciò che essi commettevano. Il Guicciardini, informato degli accadimenti, inviò a Castelnovo Monti un suo delegato, Alessandro Malaguzzi, con l’ordine di impartire una severa lezione all’Amorotto e ai suoi seguaci, ma i suoi soldati mercenari eccederono nell’esecuzione degli ordini, mettendo a ferro e fuoco interi paesi saccheggiandoli, violentando donne e distruggendo raccolti. La popolazione locale, soprattutto la più povera, vide in questi giustizieri un male peggiore del bandito ricercato e per questo nessuno di loro si fece tentare dalla taglia posta sulla sua testa. L’Amorotto riuscì in seguito a cavarsela definitivamente grazie ad un salvacondotto perché uscisse dal reggiano, mentre il Guicciardini fu trasferito a Modena. Morto Leone X, il nuovo papa Adriano VI affidò il controllo della montagna all’Amorotto, alleato che parteggiava per la santa sede, permettendogli di prendere il possesso del Castello delle Carpinete, che divenne sua residenza. L’Amorotto approfittò del nuovo potere per continuare a compiere liberamente vendette e regolamenti di conti, rendendosi responsabile di continui disordini nella zona, perpetrati con l’aiuto dei suoi fedeli masnadieri e del feroce fratello. La vita dell’Amorotto finì violentemente nel Luglio del 1523, durante una battaglia, decapitato da un avversario. Restava a succedergli Vitale, che fece diventare Carpineti un covo di loschi figuri, che scorrazzavano commettendo ribalderie e misfatti per gran parte della montagna reggiana. La morte di papa Adriano VI riportò a Reggio nel 1523 gli Estensi, al nuovo governatore fu ordinato di porre fine alle violenze e ai disordini nell’area carpinetana. Egli fece convocare abilmente Vitale, che fu preso e fatto strozzare, assassinio che riportò a Carpineti la tranquillità e lo scorrere placido degli eventi.
Dell’Amorotto e di suo fratello restano ancora oggi numerose leggende, che narrano del bandito che terrorizzò e affascinò le popolazioni montanare per oltre un decennio.