Altitudine: 605 m. s.l.m.
Beni culturali: Chiesa parrocchiale di Santa Caterina XVII sec.; mPieve di S. Vitale XII sec.
Escursioni naturalistiche: “Sentiero Spallanzani”: San Vitale- Castello delle Carpinete; Monte Valestra; Fiume Secchia.
Questa frazione, che unisce il fiume Secchia al monte S. Vitale, si sviluppa a sud lungo il versante sinistro del bacino idrografico ed ospita, verso settentrione, cave d’argilla e interessanti borghi rurali. Le ripide colline culminano sul monte Leto, detto anche S. Vitale per la millenaria pieve omonima, antica testimonianza di epoca medievale, ma di origine bizantina,
Si può raggiungere la pieve in macchina dal Passo del Vò, dove un’apposita segnaletica indica il sentiero nel bosco, oppure a piedi sul ”Sentiero Spallanzani” , Con un’ora di cammino dal castello delle Carpinete. Dell’imponente edificio originario rimangono ora poche tracce, tuttavia oggi destano rinnovato interesse la storia e la cultura che vi ruotano intorno. La pieve, infatti, ha occupato un ruolo fondamentale nella storia per l’eminente funzione ecclesiastica, giuridica ed amministrativa di sua pertinenza; accoglieva attorno a sé folle di devoti, commerci di prodotti, scambi di culture: era luogo di importanti attraversamenti e fino al 1534 vi si svolgeva, nell’ ultima settimana d’agosto, una fiera assai rinomata, trasferita successivamente nel capoluogo di Carpineti.*
Sul fronte meridionale della pieve troviamo una canonica del XVII sec., trasformata ora in ristorante-ostello per pellegrini: qui è possibile soggiornare a stretto contatto con la natura, immersi nel verde e nella quiete di luoghi dall’eccezionale passato.
L’accoglienza dei turisti continua nel salone-refettorio, un antico spazio conviviale parzialmente scavato nella roccia ed impreziosito da volte a crociera sostenute da capitelli romanici.
Gli edifici plebani sorgono su un’ampia prateria assolata che si apre ad uno dei più suggestivi scenari dell’Appennino reggiano, con vista sulla vallata del fiume Secchia ed ampio tratto del crinale tosco-emiliano.
Dal “Sentiero Spallanzani” sottostante la pieve, è possibile entrare in un viottolo secondario deviando sulla destra, quasi a metà della discesa, per giungere all’oratorio del Varigolo di cui restano solo poche tracce. I reperti rinvenuti ne testimoniano l’appartenenza ad epoca romana e l’originaria destinazione pagana. Complessivamente la zona offre infinite opportunità naturalistiche, a partire dal suggestivo versante sud-orientale del monte Leto: una gigantesca frana secolare ha trascinato a valle grossi macigni, provenienti da una bancata rocciosa fossilifera, di notevole interesse paleontologico poiché racchiudono fossili marini miocenici come echinodermi, bivalvi e denti di squalo.
Tra i massi troviamo una vegetazione arbustiva tipica dell’ambiente xerofilo, ovvero arido e sassoso, come ginestra, olivello spinoso, sedum, elicriso, rosa selvatica e artemisia. Alcune nicchie e cavità della parte superiore del monte favoriscono la nidificazione di rapaci, in particolare gheppie poiane. La località è attraversata, alla base, da una via romana che in passato raccordava la pianura ai territori dell’alta montagna dai quali, attraverso S. Pellegrino in Alpe e il Passo delle Radici, era possibile raggiungere la Toscana e successivamente Roma.
Oggi il cammino viene distinto da altre vie storiche di transito con la denominazione “Via Verabolense”. Percorrendo questa strada, ora asfaltata, si raggiunge in breve la località S. Caterina, che si annuncia con una bella chiesa secentesca su una collinetta nei pressi del monte Leto.
La costruzione è semplice, ma molto armoniosa; la facciata tripartita si articola attorno al portale con arco a tutto sesto.
Appartengono al patrimonio della chiesa alcuni dei gioielli più preziosi dell’arte sacra locale: un battistero e un’ancona d’altare ad intaglio ligneo, attribuita al grande artista Domenico Cecati (Stiano di Toano, 1600).
Rimangono inoltre resti scultorei della pieve di S. Vitale, tra cui un frammento di archetto pensile.
Particolarmente slanciato è il campanile sul fianco meridionale, concluso da una cella a bifore: le campane provengono dal campanile crollato della pieve di S. Vitale.
Il parametro presenta tre riquadri sovrapposti: su quello sommatale si nota una sbiadita meridiana.
Davanti al sagrato non sfugge all’attenzione un maestoso platano plurisecolare alto 22 metri, con un diametro di 135 centimetri.
Continuando il percorso per ritornare nel bosco, si scenderà di poco sulla strada sottostante la chiesa e s’imboccherà sulla destra un sentiero che, dopo un’ora di cammino, su un sentiero che serpeggia nel bosco affrontando creste arenacea curiosamente erose e modellate a sfera.
Dopo aver riposato sulla roccia, godendo di piacevoli scorci panoramici sull’Appennino, si giungerà infine alla Pieve, dove il camminatore perseverante potrà contare sulla complicità del ristoro di S. Vitale per rifocillarsi con le golosità della gastronomia locale.
*La pieve di San Vitale:
Anticamente la pieve di S. Vitale si collocava al vertice di un’importante organizzazione ecclesiastica: Da essa dipendevano, già dal 1300, ben 21 chiese reggiane e modenesi e numerosi erano tutto l’anno i gruppi di pellegrini provenienti da varie parrocchie che lì si recavano per la celebrazione di importanti funzioni religiose.
Venne edificata dai Bizantini sul monte Leto (Mons Letum), nel “Castrum Verabulum”, intorno al VI – VII sec. e fu dedicata a S. Vitale, come corrispettivo occidentale della basilica omonima, a Ravenna.
Intorno al 1100 nella pieve si manifestarono gravi problemi di staticità e su interessamento di Matilde di Canossa l’edificio subì importanti interventi di ricostruzione, ad opera di artisti campionasi, com’acini e di maestranze della scuola di Wiligelmo, lo scultore di fama europea che operava contemporaneamente nel duomo di Modena.
La lavorazione raffinata di numerosi capitelli, il portale in pietra, i pregiati manufatti in marmo bianco con decori a intreccio sono soltanto alcuni dei preziosi contributi di questi grandi maestri.
La pieve presentava una pianta basilicale a tre navate separate da due file di colonne, con transetto triabsidato. Venne riconsacrata il 29 agosto 1145, come si legge nell’importante pietra della mensa d’altare ora conservata nella chiesa di S. Andrea: da allora rimase nei secoli caposaldo dell’organizzazione ecclesiastica territoriale e punto di riferimento per la vita civile.
Intorno al 1600 pericolosi cedimenti strutturali colpirono l’edificio e nel secolo seguente il degrado trascinò a terra copertura, pareti, colonne e capitelli, offrendo l’occasione a saccheggi vandalici, poi arginati con il trasferimento del materiale lapideo in molte chiese dell’ Appennino reggiano e nella Curia vescovile di Reggio Emilia.
Sul fianco settentrionale della pieve, crollato nel 1800, si ricavarono edifici rurali utilizzati dai mezzadri che dipendevano dalla vicina parrocchia di S. Caterina, dove si officiavano le funzioni in sostituzione della pieve.
Negli anni ’30 il nartece ed un breve tratto del muro a sud vennero ridotti a cappella, per proteggere l’originario portale quadrangolare con semicolonne capitellate, sormontato da un architrave e una lunetta con decorazione a corde intrecciate e motivo fogliare.
I capitelli erano tre per parte, con motivi a palmette e intreccio, ma di questi ben poco è rimasto a causa delle asportazioni di ignoti vandali.
Sul retro, nascosto da una fitta vegetazione di noccioli e sambuchi, emerge il piede dell’ abside principale.
A ovest della pieve sorge un edificio massiccio a due piani, con pianta quadrata, attribuibile al XVII sec., originariamente adibito a canonica ed in seguito ad abitazione rurale fino alla fine degli anni ’50.
Sul lato nord si nota una sporgenza contenente una scala, decorata da una pregevole trifora in arenaria con tre archi a tutto sesto.
Nell’ambiente seminterrato si conservano elementi scultorei, probabilmente provenienti dalla precedente pieve bizantina, tra cui quattro colonne monolitiche e altrettanti capitelli scolpiti con figure antropomorfe e motivi fogliari, in parte ricostruiti a seguito di gravi danneggiamenti e asportazioni avvenute nel 1972.
Un sapiente restauro ha trasformato da poco l’antica canonica, ora di proprietà del Comune, in un accogliente e moderno ostello con ristorante, in grado di ospitare fino a venticinque turisti disposti a godersi un ambiente storico e naturalistico davvero unico.
Nello spiazzo prospiciente la pieve di S. Vitale, già in epoca bizantina, convergevano grossi movimenti di genti locali e forestiere, cui si aggiungevano intraprendenti mercanti con buona varietà di merci e animali per dar luogo a interessanti commerci.
Nei secoli successivi si aggiunse la Fiera di S. Vitale, fissata nell’ultima settimana d’agosto, poi trasferita nel 1534, per maggiore praticità, nella località “Mercato” (l’attuale capoluogo”).
Negli Statuti di Carpineti (Liber quartus de extraordinariis) ritoccati dal duca Alfonso I d’Este, si legge in proposito: “[…] sia fatto un ampio et pieno decreto […] di far tal fiera a Santo Vitale luogo consueto o al mercato luoco distante da quello un miglio, ma più comodo per li forestieri per essere l’uno luoco salvatico, l’altro luoco per li comodi alloggiamenti […]”.
Ars Canusina:
Motivi decorativi caratterizzanti la pieve di S. Vitale vennero documentati negli anni Trenta dalla dottoressa Maria Bertolani del Rio di Reggio Emilia. Questi fregi uniti ad altri decori matildici, furono pubblicati nel 1935 nel volume “Ars Canusina” e da un’idea della stessa Bertolani nacque un artistico artigianato che riportò su legno, pietra, ceramica e tessuto l’originalità e la creatività dei maestri matildici. I lavori furono eseguiti anche nei laboratori della Colonia-Scuola “A.Marro” di Reggio Emilia, un centro di assistenza e formazione per bambini disabili in età secolare. Le preziose lavorazioni dell’ Ars Canusina sono tuttora praticate da artigiani abilissimi i cui manufatti, contrassegnati dal marchio specifico, sono ben noti in Italia e oltre i confini nazionali.
da “Conoscere Carpineti” di Diva Valli e Stefania Beretti